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Sestino

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Sestino

Scorci suggestivi intagliati tra i profili di monti appenninici. Sentieri adatti al trekking e alla mountain bike corrono lungo la valle, attraversano boschi, prati e radure e si addentrano nei centri abitati più piccoli come Monterone, San Donato e Case Barboni. Sestino è un avamposto della Valtiberina adagiato nel cuore dell’Appennino, ricco di riserve naturali e aree protette. 

Crocevia di storia millenaria, nodo strategico per chi anticamente da Roma risaliva la valle del Tevere oppure per chi scendeva verso la pianura Padana. L’impronta di ogni popolo è impressa nella sua terra: Etruschi, Piceni, Umbri, Galli Senoni e infine i Romani che ne hanno fatto una città monumentale, un municipium con il suo foro, la curia e le terme. 

 

 

Le gesta eroiche delle sue genti, in particolare delle famiglie sestinesi dei Voluseni e dei Cesii e del lustro dato a Sestino ricoprendo alte cariche militari, sono incise in un archivio di pietre. Le lastre e i cippi di travertino locale formano il lapidario del museo dell’Antiquarium nazionale tutt’oggi visitabile. 

Del periodo di splendore e prosperità vissuto durante la dominazione dei signori di Firenze si conserva il sogno della città inespugnabile, inseguito da Cosimo dei Medici. La città-fortezza a quote mai osate prima, posta sulla vetta più alta e impervia del Sasso di Simone, all’interno del Parco naturale del Sasso Simone e Simoncello, è un luogo strategico in cui era possibile addirittura inviare segnali a Roma e scorgere alcuni territori della Dalmazia al di là dell’Adriatico. Costruita come una roccaforte a difesa dei confini circostanti, nel luogo in cui in passato già i Longobardi e i monaci benedettini avevano tentato invano di insediarsi, vinti da un territorio aspro e dalle difficoltà di raggiungere la vetta, la città perfetta di Cosimo dei Medici è abbandonata e smantellata a fine Cinquecento.

 

 

Oggi il borgo di Sestino conserva esempi di arte sacra e architetture religiose di pregio. Come la chiesa di San Gianni, datata 1297 ma probabilmente più antica. O come la pieve di San Pancrazio, costruita tra il IX ed il X secolo sopra i resti dell’antica curia romana, ma rimaneggiata più volte. Al suo interno custodisce una suggestiva cripta di epoca bizantina, due crocifissi giotteschi su tavola di scuola riminese (metà XIV secolo), una tela della Natività con Santi e l’Adorazione dei magi (XVII secolo), le Stimmate di San Francesco e il Martirio di San Pancrazio (XVIII secolo). 

 

 

In una bolla del 1125 di papa Onorio II a Pietro, vescovo del Montefeltro, si cita Santa Maria di Piego quale prima chiesa del Montefeltro. Il santuario, dalla semplice struttura in pietra, in occasione del giubileo del 2000 è stato inserito in un itinerario denominato “La via Romea dell’arte contemporanea” che tocca dodici chiesette al cui interno si trovano dipinti di pittori contemporanei che richiamano il tema del giubileo. A Piego la pittrice Fleur Beverley ha realizzato un dipinto sulla parete retrostante l’altare che si rifà alla devozione per Santa Eurosia.

 

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